Vicino alle vittime del terremoto

Come disse Victor Hugo, “Ci sono momenti in cui, qualunque sia l’atteggiamento del corpo, l’anima è in ginocchio”. Mai frase più calzante!

Ieri mattina, mentre stavo ripassando alcuni passaggi per il mio intervento come relatore al convegno di Rieti “Cuore Piccante” (che si sarebbe dovuto svolgere questo fine settimana), ascoltando la radio mi raggiunge la notizia dell’immane tragedia del terremoto. Accendo immediatamente la televisione e le prime immagini che vedo sono quelle dei luoghi dove, nella mia infanzia assieme alla mia famiglia, passavo i fine settimana. Per una passeggiata, per un giro di trekking, per esplorare il territorio o per andare a trovare il signor Arnaldo dell’Hotel Roma di Amatrice, grande amico di mio padre. Perché, proprio come diceva papà, “se non si mangia l’amatriciana di Arnaldo, non si può dire di aver mangiato la vera tradizione!”.

Proprio sulle immagini di quei luoghi, nel vedere il crollo totale di quel tempio del gusto e del convivio, in un attimo mi è passata davanti agli occhi tutta la mia infanzia: le giornate trascorse in quel salone con la vista mozzafiato, le tavolate imbandite a festa con gricia e amatriciana, fegatelli in rete alla brace. Gli insegnamenti di Arnaldo, su quali parti della guancia del maiale utilizzare, il tipo di pasta, quale pomodoro, il pecorino e tanti altri piccoli consigli. Consigli che sono rimasti scolpiti nella testa e nel cuore del bambino che ero e che oggi sono fondamenta solide dello chef che sono diventato.

Un dolore indescrivibile il mio. Nulla paragonato a quello che gli abitanti di quei luoghi stanno provando oggi. Gente che si è svegliata in piena notte per assistere alla distruzione di una vita intera. E che nella realtà della fortuna di essere sopravvissuti, nel frattempo piangono amici, parenti e conoscenti che non hanno avuto lo stesso destino. Piangono nel vedere i luoghi in cui sono cresciuti e che sono stati il palcoscenico della formazione delle loro esistenze, ora completamente distrutti dai dieci secondi più lunghi della loro vita.

Proprio a quelle persone vanno il mio cordoglio e le mie preghiere. Conoscendo bene la gente di quei luoghi, grazie alla forza e alla tenacia che nella storia li ha sempre contraddistinti, sono convinto che si sapranno rialzare velocemente, per ricostruirsi un futuro degno del loro passato. Quello che noi oggi possiamo fare, a mio parere, non è essere solidali attraverso donazioni economiche, come le iniziative di alcuni ristoranti – non del luogo – che invitano a mangiare amatriciane per devolvere 1 euro alle popolazioni dei terremotati. O raccontare le nostre attività attraverso gli hastag più indicizzati, così con la scusa del dolore le pagine web raccolgano più consensi possibili. In questi casi, chi ha possibilità e sente la necessità di contribuire, lo faccia recandosi direttamente in quei territori ricchi di prodotti, materie prime eccellenti e ospitalità eccezionale. In modo da innescare un meccanismo che, attraverso il turismo enogastronomico, ridare fiducia, dignità e spinta a quella gente che oggi non ha più niente. Ma che è forte delle proprie tradizioni e che saprà farle rivivere anche attraverso le eccellenze della loro terra. Quella terra che ieri ha tolto tanto, ma domani saprà restituire attraverso l’amore e il sostegno di tutti noi.

Francesco Fichera

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